Dalle stalle alle stelle: storia del New York Café di Budapest

di Claudia Leporatti – In una soleggiata mattina d’autunno a Budapest un ottimo caffè e un’affascinante conversazione

con il General Manager dell’Hotel italiano Boscolo Budapest mi lasciano così incantata che non posso fare a meno di leggere l’intera storia del “New York Cafè” dove stiamo sedendo. Un capitolo di storia ungherese che accompagnerà anche voi fino ai nostri giorni, quando l’intervista al direttore Engelbrecht Kinga vi racconterà di come questo incredibile palazzo ha compiuto 120 anni e ha ancora tanto da dire sulla scena “budapestina”. 

Sembra fatto a posta per sognare, questo salone nel pieno centro della capitale ungherese. L’Hotel Boscolo di Budapest è famoso sia come albergo che per la sua sontuosa caffetteria, forse il gioiello più prezioso del “New York Palace”, nato come sede ungherese dell’omonima società assicurativa americana, ormai 120 anni fa. Era il 1894 e la “ New York Life Insurance Company” voleva mettere in mostra la sua ricchezza ergendo a Budapest un quartier generale imponente e lussuoso. 

La storia di questo immobile ci porta ancora più indietro, agli anni Settanta dell’Ottocento, quando l’ungherese Maz Aufricht arrivò a Pest dal nord del Paese, per fare fortuna. Si dice che avesse con sé solo un soldo d’argento e un diploma da insegnante. Con notevole determinazione e fiuto per gli affari riesce in poco tempo non solo ad arricchirsi e laurearsi in legge, ma anche a entrare in affari con il capo della “New York”, che lo incarica di assisterlo nel creare contatti sul territorio. La compagnia aveva aperto una sede in quasi tutti i suoi mercati e l’idea di piazzarne una a Budapest è stuzzicante. La posizione scelta è l’allora nuovo Erzsébet körút (Viale Elisabetta) e il vincitore del bando per il progetto (Alajos Hauszmann) pensa a un edificio eclettico ispirato allo stile rinascimentale italiano. Al piano terra sarebbe sorta la gemma del complesso: una caffetteria organizzata su 4 livelli, con galleria, statue in bronzo, candelabri veneziani, la lanterna sorretta dai 14 diavoletti “El Asmodaj”, figure legate alla tradizione della meditazione e del caffè… La stanza biliardo che si affianca a quella dei giochi e alla sala delle dame. Celebre è la leggenda legata alla cerimonia di apertura, il 23 ottobre 1894, secondo la quale lo scrittore Ferenc Molnár (l’autore de “I ragazzi della Via Pál”) avrebbe gettato nel Danubio la chiave del New York in modo che potesse essere aperto “notte e giorno”. All’interno dell’edificio, dotato di un’entrata distinta, si trovano gli uffici dell’assicurazione, ma anche le redazioni di vari giornali e appartamenti. Nel corso di 120 anni la struttura ha visto gli impieghi più svariati: è stata un magazzino e, durante la guerra, persino una stalla!

In poco tempo il New York si afferma come una sorta di laboratorio e redazione collettivi, oltre che uno dei principali punti di incontro per la crema e gli artisti della capitale ungherese. Vi si riuniscono intellettuali comitati redazionali, in cerca di confronto e ispirazione, mentre per molti scrittori e giornalisti i suoi tavoli sono la scrivania dove nascono i lavori più importanti.

Il New York si connota ancora di più “fabbrica della carta” all’inizio del Novecento, quando la gestione passa ad Adolf Harsányi, che introduce, tra l’altro, il “piccolo letterario”, un panino con salame e formaggio riservato agli scrittori, che nei periodi di ristrettezze economiche vivevano praticamente di quello. Il New York di allora infatti un caffè democratico, nel senso che vi andavano tutti, dai poeti senza spiccioli agli imprenditori che vi decidevano i loro affari. 

Il Café divenne inoltre la sede dei critici cinematografici e la prima rivista di cinema ungherese, “Pesti Mozi” veniva redatta soprattutto qui, mancando negli uffici gli spazi appropriati al lavoro di impaginazione. Uno spazio era riservato agli attori e un altro ancora ai musicisti. I camerieri del New York custodivano i dettagli più curiosi sui grandi letterati ungheresi: è rimasto nella memoria “Jean” (in realtà Jozef Bezalel) scaltro barista capace di arrangiarsi con qualche parola un po’ in tutte le lingue, che conosceva i piccoli vezzi e i peccati di gola dei suoi talentuosi clienti. 

 

La Prima Guerra Mondiale portò a un impoverimento del menù e al razionamento delle porzioni, ma il locale restò aperto. Fu l’esito rovinoso del conflitto ad allontanare la gente dalla caffetteria, sui cui posacenere comparve la scritta “Non parlare di politica, divertiti”. L’era dei Cafè era finita, per il momento. Un’epoca di nuovo splendore stava per iniziare, gli anni Venti, con un ennesimo cambio di gestione e la rinascita del New York come ristorante la cui vera attrazione erano i clienti stessi, che si agghindavano a festa appositamente per cenarvi. E’ il ritorno tra le mura del New York di stelle del cinema e artisti, ma la moda dei café passerà di nuovo in fretta e servirà l’ingegno del gestore Vilmos Tarján per mantenere il New York sulla bocca dei budapestini. Tarián era anche proprietario del Royal Orpheum, una specie di circo e incluse tra le clausole del contratto di un addestratore l’impegno a fare colazione al café ogni mattina in compagnia di una delle sue foche, vicino alla finestra. In questo modo la gente era attratta e dal viale si raccoglieva incuriosita.

 

Il declino torna dal 1935, prima per il fiorire della concorrenza, poi per problemi finanziari e infine per i colpi veri, quelli della Seconda Guerra Mondiale. 

 

Nel Dopoguerra il numero dei café di Budapest era passato da 167 a 90, che scesero presto a 70. Il  New York fu riattrezzato e riaperto, ma senza successo. Con la nazionalizzazione la proprietà della sala “espresso” passo a IBUSZ, mentre il cafè vero e proprio fu assegnato alla Compagnia Nazionale del Commercio e dello Sport. Nel 1954 il New York riapre ma cambia nome: è il Ristorante “Hungária”, l’antico splendore quasi del tutto restaurato, la clientela che, nonostante sia sparita la caffetteria, riprende a riempirne i tavoli. Se cambiare un’insegna è cosa veloce, modificare il modo in cui un luogo è conosciuto richiede anni e non sempre vi si riesce per davvero. Con un processo spontaneo, nel decennio Ottanta l’Hungária torna “New York” sulla bocca della gente. Dal 1990 resta chiuso, visitato sporadicamente dai turisti. Nel 2001 lo acquista Gruppo Boscolo, che in collaborazione con la tutela dei Beni Culturali ungheresi lo ha ristruttura. Nel 2006 l’intero palazzo riapre come albergo a 5 stelle. Ne abbiamo parlato con Engelbrecht Kinga direttore generale. 

Gli anni d’oro del “New York Café” che tutti ricordano sono quelli di inizio Novecento, quando era il ritrovo degli intellettuali. Oggi quel mondo non esiste più, ma come valorizzate questo patrimonio storico?

Prima di tutto la sua conservazione è stata permessa dall’intervento di restauro avviato nel 2001. Curato dagli architetti Maurizio Papiri, Adam D. Tihany, Massimo Iosa Ghini e Simone Micheli, ha permesso di ricreare la magia del palazzo “dei 5 stili”, in cui si mescolano greco, latino, rinascimentale, barocco e Art Nouveau. Entrare qui dentro è un’esperienza paragonabile alla visita di un monumento ed è facile sentirsi negli Anni Venti, tra i nostri saloni. 

La caffetteria è ancora frequentata dai cittadini o solo dai turisti e dai vostri clienti?

Per gli ungheresi resta un posto come nessun altro. Per “restituirlo” loro abbiamo da poco lanciato dei cicli di serate rivolti agli abitanti della città, invitando scrittori, musicisti, poeti e pittori e scegliendo temi interessanti. Questo ricrea l’atmosfera di fermento culturale e apre un’area di discussione, stimolante oggi come lo era un secolo fa. Li chiamiamo “Művész Páholy” (Palco dell’Artista) e coinvolgono centinaia di persone da sfere diverse della società.

Un albergo italiano in un edificio che ha fatto la storia di Budapest degli ultimi due secoli. In cosa si riconosce l’italianità del Boscolo?

Soprattutto nell’atmosfera familiare e nella cura per i dettagli. Qui i clienti sono trattati in modo straordinario e tutto il nostro personale è selezionato e formato per essere all’altezza di questo compito fondamentale. La famiglia Boscolo ha saputo creare un marchio rinomato in tutto il mondo attraverso la diffusione della sua filosofia in ognuno dei suoi hotel. La qualità è visibile in ogni piccolo oggetto qui dentro. Siamo ben legati al mercato italiano anche livello di arredamento, suppellettili e tecnologie. Le decorazioni di Natale di quest’anno, ad esempio, sono state commissionate a un designer italiano. 

I 120 anni sono stati festeggiati con un ballo, può raccontarcelo?

Oltre 4 mesi di preparativi hanno portato a una serata incredibile. Grazie alla collaborazione con il programma televisivo Virtuózok, abbiamo avuto l’accompagnamento musicale di giovani talenti ungheresi, che hanno composto un pezzo per l’occasione. L’attore Nagy Ervin, inoltre ha recitato delle poesie che sono state scritte al New York nel Novecento, mentre la voce di Tóth Vera ha intrattenuto il pubblico insieme ad altri grandi nomi, tra cui quello della cantante d’opera Keszei Bori. Abbiamo inoltre organizzato una tombola devolvendo il ricavato a una bambina di 10 anni con gravi problemi polmonari e, in seguito, un’asta per un violino prezioso, sempre in favore della piccola. Una serata indimenticabile. 

Un’altra memoria che va ad impreziosire il luccicante splendore del caffè New York. 

Articolo di Claudia Leporatti

Fonte delle informazioni storiche: intervista e articolo apparso su “Budapest Quarter 12­13 (2­3/1996) A hundred­ year ­old literary café, the “New York”[1] di Katalin Csapó

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