Abbiamo avuto il piacere di intervistare Giordano Riello, vice Presidente di Confindustria Ungheria, carica che condivide con Alessandro Farina (di cui potete leggere qui l’intervista realizzata da Economia.hu).
Ci può presentare RPM Hungaria?
Mi chiamo Giordano Riello, e sono il Dirigente della Giordano Riello International Group di cui fa parte anche RPM, presente in Ungheria ormai da 23 anni.
RPM Hungaria è un’azienda manifatturiera nata e cresciuta in Ungheria per volontà di mio padre nel 2000. Due decenni fa l’Ungheria era un paese molto diverso da oggi, meno noto e che presentava meno aziende italiane.
Abbiamo scelto l’Ungheria per via della posizione strategica: è un territorio che ci permette di guardare con interesse altre aree geografiche: non abbiamo delocalizzato o trasferito la produzione solo per questioni di costi di manodopera, ma anche perché crediamo che sia strategicamente in una posizione geografica importante.
A Salgótarján, un paese a 100 km a nord di Budapest, produciamo motori elettrici di piccola potenza legati esclusivamente al comparto dell’area condizionata e del riscaldamento: sono motori che vanno all’interno dei ventilconvettori o fan coil -quelle unità che vedete attaccati ai muri oppure in alto sui soffitti delle abitazioni, edifici commerciali, aeroporti e altro-.
Abbiamo un’azienda con circa un centinaio di persone, adibita alla produzione di questo tipo di prodotto. Il nostro direttore generale è un italiano che tempo fa si mosse da Badia Polesine -dove si trova l’export di questa azienda, RPM Italia- e andò nel 2000 in Ungheria, dove si è stabilito, ha trovato moglie e creato una famiglia.
Quali sono le relazioni dell’azienda tra Italia e Ungheria?
Da un punto di vista lavorativo noi abbiamo sicuramente dei rapporti eccezionali, sia con la parte ungherese in Italia che con quella italiana in Ungheria, che con quella ungherese in Ungheria. Siamo stati accolti veramente in maniera ottima da parte delle istituzioni ungheresi quando stavamo valutando i vari paesi dove stabilire l’area produttiva. L’Ungheria infatti era, tra virgolette, in competizione con altre aree geografiche della parte Est-Europea. In seguito, anche per l’ottima apertura culturale che abbiamo trovato in questo paese, la volontà è stata quella di aprire e creare lo stabilimento qui. Dal 2000 in poi abbiamo un camion che fa due viaggi settimanali tra Ungheria e Italia, quindi ne abbiamo fatti di chilometri tra Badia Polesine e Salgótarján in questi 23 anni di attività.
Quali sono state alcune delle sfide principali che lei e l’azienda avete affrontato, come le avete superate?
Inizialmente, il problema maggiore che abbiamo avuto è stato sicuramente quello della manodopera, per due ragioni: in primo luogo dovevamo educare le persone al tipo di prodotto , perché lì non c’era un distretto legato al settore dei motori elettrici e quindi il personale è stato istruito riguardo questa tecnologia e questi processi di lavorazione. Li abbiamo portati anche in Italia e abbiamo spiegato loro come lavoriamo in Italia e quali fossero agli standard qualitativi che volevamo garantire anche in Ungheria.
Collegato a questo, il problema che abbiamo affrontato inizialmente, riguardava l’instabilità relativa alla presenza lavorativa delle persone: a volte si presentavano, a volte no, se ne andavano via senza dire niente. C’è stato dunque un processo educativo verso il significato della parola lavoro.
Però abbiamo trovato dei bravi capi-area ungheresi della zona che ci hanno aiutato tanto in questo processo e nel tempo siamo riusciti a dare stabilità ai lavoratori e al processo di lavorazione che viene fatto garantendo standard qualitativi che non hanno nulla da invidiare a quelli italiani oggi giorno.
E stato un lavoro che ha impiegato diversi anni e molte molte energie, ma oggi devo dire che la qualità del lavoro che c’è in Ungheria non ha nulla di meno rispetto a quello che abbiamo qua nei nostri stabilimenti italiani.
Che consiglio darebbe agli operatori italiani interessati ad investire in Ungheria?
L’Ungheria rispetto a 23 anni fa è completamente un altro paese: se una persona pensa oggi di produrre in Ungheria, tenendo conto solo del costo della manodopera, secondo la mia esperienza non ha più senso. I costi del personale infatti, sono cresciuti in modo significativo negli ultimi anni. Inoltre, oggi vediamo che ogni anno c’è un aumento del salario minimo. L’Ungheria dovrebbe essere vista anche come una porta verso l’Oriente: come dicevamo poco fa, si trova strategicamente, al centro dell’Europa. Può essere quindi molto versatile da un punto di vista logistico. C’è poi un grossissimo distretto che è cresciuto nel mondo dell’automotive e anche quello potrebbe avere un impatto sulla filiera italiana dove l’automotive la facciamo e la sappiamo fare da anni.
Come vede l’evoluzione del suo lavoro e dell’azienda in futuro?
La nostra volontà è sicuramente di mantenere attivo e vivo lo stabilimento in Ungheria per i prossimi anni, tendenzialmente all’infinito. Non vogliamo né chiudere né spostare la produzione, anzi crediamo che quello sia un asset strategico da valorizzare da mantenere a lungo e del quale andiamo veramente molto orgogliosi.
“La ricchezza fine a se stessa non serve a niente; è uno strumento positivo se diventa un mezzo per dare supporto alla comunità, generare ricchezza e ulteriore innovazione. Questo distingue un imprenditore illuminato da colui che rincorre il solo profitto”
– Giordano Riello
Che consiglio darebbe agli operatori italiani interessati ad investire in Ungheria?
Sicuramente consiglierei di avvicinarsi al paese e capire quali opportunitá possono esserci sotto i diversi incentivi che il governo sta proponendo per le aziende manifatturiere. Io credo che possa essere un paese che può ancora dare tanto, soprattutto agli italiani, anche perché siamo logisticamente vicini: raggiungibili in poche ore di macchina o in un’ora d’aereo.
Essendo un’azienda italiana bisogna anche avvalersi dell’aiuto di un’ambasciata,con la quale noi abbiamo un ottimo rapporto e lo abbiamo sempre avuto storicamente; ci hanno sempre supportato in ogni tipo di richiesta sul territorio.
Vi invitiamo a leggere l’intervista al Deputy Head of Mission dell’Ambasciata italiana a Budapest, Roberto Taraddei.
Come bilancia il suo successo professionale con la vita privata ed il benessere personale?
La risposta che do è mia moglie Francesca, il vero pilastro che tiene in piedi la famiglia e sopporta e la lontananza. Abbiamo tre figli, uno si sei anni, uno di tre e una bambina di un mese e io sono fuori casa tendenzialmente tutta la settimana, parto il lunedì e torno il venerdì, sono tornato ieri da Israele perché avevo un appuntamento oggi. La settimana scorsa ero in Messico, la prossima saró in Canada, riuscire a bilanciare le cose non è semplice. Però, una volta che si ama il proprio lavoro, lo si fa con amore anche verso la famiglia: questa è la cosa più bella che si possa avere.
Devo ringraziare tantissimo mia moglie, senza la quale non riuscirai a fare quello che che sto facendo, insieme a tutti i nostri collaboratori. E devo dire che i miei tre figli sono la startup più bella che io abbia mai fatto.