di Claudia Leporatti – Da piccolo diviene il Principe dell’Aria, da adulto corona il sogno di ogni bambino, usare la magia. Lui è Harry Houdini, all’anagrafe Ehrich Weisz, il mago più famoso del mondo.
L’illusionista americano era in realtà ungherese, nato a Budapest nel 1874, figlio di un rabbino e parte di una grande famiglia con sette figli. In un’altra epoca, un altro prodigio: a 4 anni colleziona lucchetti e manette, a 13 già si esibisce con un numero tutto suo. Record mondiale di apnea con 21 minuti e 29 secondi (2009), lui è David Merlini, di professione escapologo. Siamo a Budapest, lato Buda, nel quartiere del castello, dove poche ore fa Merlini ha aperto il museo “The House of Houdini” (Budapest, Dísz Tér 11). Lo visito accompagnata da David in persona e non posso fare a meno di raccontarvi anche la sua, di storie, quella dell’uomo che si è fatto imprigionare in un blocco di ghiaccio per uscirne dopo 33 ore, davanti a mezza Budapest riunita per lui nel Piazzale degli Eroi.
Nato a Budapest nel 1978 da padre toscano, David Merlini ha vissuto a lungo in Italia, a Torino, prima di tornare in Ungheria per debuttare con i suoi spettacoli, che oggi lo portano in tutto il mondo. Nel 2007 è stato premiato come “Best Escape Artist” agli World Magic Awards di Los Angeles, gli Oscar della magia. Due anni fa, durante la produzione americana “Houdini”, girata a Budapest, ha insegnato all’attore Adrien Brody (anche lui ungherese, di origine) a trattenere il respiro e ad evadere dalle manette, lavorando come consulente per la miniserie premio Oscar. Nel 2015 è stato protagonista di uno show in memoria di Houdini per la chiusura di Expo 2015, a Milano.
Chiariamo una cosa: ti sei appassionato all’escapologia per seguire le orme di Houdini o al contrario a Houdini grazie all’escapologia?
Quando ho iniziato a collezionare chiavi, lucchetti e manette avevo 4 anni e Houdini non sapevo neanche chi fosse. Mi interessavano molto i giochi di prestigio, ne restavo rapito.
Come hanno accolto i tuoi genitori la tua stravagante mania? Di solito a quell’età si fanno raccolte di biglie e figurine… Non nego che è stato difficile, molto. Al posto delle macchinine chiedevo sempre lucchetti, chiavi e catene in regalo.
Raccontaci della tua gioventù tra Italia e Ungheria.
Ci siamo trasferiti in Italia da Budapest quando avevo 4 anni, prima ad Alassio, poi in Valle d’Aosta e infine a Torino. Nel capoluogo piemontese si trova il più grande circolo di magia d’Italia, il Circolo Amici della Magia di Torino, di cui sono diventato membro quando ero ancora un ragazzino, a 13 anni. Avevo già uno spettacolo di magia piuttosto serio.
Ricordi il tuo primo “incontro” con Houdini?
Una sera mi trovavo nella biblioteca del circolo, assorto nello studio di un libro firmato da un altro ungherese, un certo Houdini. Scoprii così che oltre cento anni prima c’era un altro ragazzo che adorava e collezionava i lucchetti, come me. Per di più era nato in Ungheria anche lui e faceva escapologia. Questo mi ha motivato ancora di più a perseguire questa strada. Negli ultimi vent’anni ho riprodotto quasi tutti i numeri di Houdini, in chiave contemporanea.
Come è nata l’idea di aprire questo museo?
L’entrare quasi in simbiosi con Houdini mi ha portato in modo inevitabile a collezionare strumenti e oggetti a lui appartenuti. Tuttora partecipo a moltissime aste per incrementare l’esposizione. Lo faccio da 17 anni e posso dire di possedere, insieme a David Copperfield in America (la cui collezione non è tuttavia visitabile, ndr), una delle più grandi collezioni esistenti sull’inventore dell’escapologia. Da tempo avevo deciso di farne un museo e l’anno scorso ho trovato lo spazio adatto. A Budapest, non a caso… Parte della missione che sento mia è quella di riportare Houdini nella sua Ungheria e questo è il mio modo di farlo, con un luogo dove è possibile immergersi nel suo mondo e divertirsi a tornare in quell’epoca tanto prolifica per l’intrattenimento.
Merlini mi chiede un minuto, si avvicina ai ragazzi che stanno visitando il museo durante la nostra intervista. Li fa appoggiare alla parete, poi si mette all’opera con una macchina fotografica antica, prima di scattare gli fa scegliere e nascondere una carta, che apparirà direttamente sulla foto caricata in automatico su Instagram, insieme all’effigie del grande Houdini. Sono sbalorditi.
Parliamo ancora del museo. Le visite sono sempre guidate?
Sì, è importante che il visitatore sia accompagnato in questo viaggio magico, che gli sia raccontata la storia del Grande Houdini in modo personale. Inoltre ci sono sempre dei maghi ungheresi emergenti sul palco, che intrattengono il pubblico con i loro giochi di prestigio. Ci piace sorprendere, regalare un ricordo.
A proposito della storia di Houdini, ci piacerebbe sentirla da te.
All’inizio non fu facile neanche per lui. Lasciata l’Ungheria per l’America a soli 4 anni, Harry, che all’epoca si chiamava Ehrich ed era di famiglia ebrea, crebbe nella povertà. Anche questo di certo ha contribuito: per cavarsela ha iniziato a lavorare molto presto e si è dovuto inventare un ruolo. I suoi inizi non furono gloriosi e se come “Re delle Carte” faticò a farsi apprezzare, un giorno vide un illusionista, Dr Lynn, che eseguiva il numero di segare una donna in due in modo unico. Trovò un libro di Robert-Houdin e decise di riprenderne il nome, aggiungendovi la i finale. Furono i suoi ispiratori. Mentre si esibiva in un numero di liberazione a mani bloccate, fu notato da Martin Beck, che divenne il suo manager e lo battezzò “Re delle Manette”. E la magia ebbe inizio…
Torniamo indietro di qualche anno: perché i Weiss se ne andarono dall’Ungheria?
Ci sono solo leggende su questo argomento. Pare che il padre del futuro mago fosse una persona difficile, tant’è che dovevano cambiare molto spesso residenza anche a Budapest. Inoltre erano persone molto povere e se alla fine si sono dovuti trasferire tanto lontano deve aver avuto un problema molto serio, forse un debito, non lo sappiamo.
Il numero di Houdini che ti appassiona di più?
Forse quello della pagoda, che consiste nel rimanere appesi a testa in giù in una cassa di vetro riempita d’acqua e chiusa a chiave, con le caviglie fissate al coperchio. L’ho eseguito diverse volte ed è molto difficile, perché ci si trova capovolti in un ambiente privo di ossigeno. Questa evasione è stata inventata dopo quella della fuga dal barile del latte.
Ti capita mai di avere paura?
Non c’è tempo per spaventarsi. Quando qualcosa va storto, accade tutto in un attimo. L’anno scorso mi sono rotto una gamba sotto un blocco di ghiaccio durante un programma di Canale 5: non c’è un momento in cui ti fermi a pensare allo spavento, solo il dolore che arriva all’improvviso. Non mi sono potuto inchinare a fine numero, questo mi è dispiaciuto. Le cose che mi hanno fatto tanta paura le ho quasi tutte messe in pratica.
Trentatré ore in un cubo di ghiaccio, cosa hai pensato tutto quel tempo?
É lunga. Tanto, tanto lunga. Non puoi addormentarti, devi restare sveglio ed è questa la difficoltà maggiore. Mi hanno dato un premio nel 2007 per questa esibizione, l’ho inventata io.
A meno di 40 anni hai già fatto di tutto. Cosa c’è ancora nel tuo futuro?
Adesso mi sto dedicando a questo sogno, l’apertura del museo, e voglio essere presente il più possibile nei primi mesi. Nel frattempo continuo ad esibirmi. Per il futuro…prevederlo è un altro tipo di magia!
Houdini morì a 52 anni e, 52 anni dopo nasceva Merlini, che in memoria di Henry ha collocato 52 rose rosse all’ingresso del suo museo, dentro la cella per la tortura cinese che è stata usata per il film. Anche le coincidenze, qui, sono cariche di suggestione.
Foto di Claudia Leporatti
Claudia Leporatti
Articolo uscito su East Journal il 24 giugno 2016
Per saperne di più sul museo The House of Houdini: sito e Facebook