In Ungheria, il 9% dei dipendenti può decidere autonomamente da dove lavorare, lo riporta Profession in base ai risultati della loro più recente indagine rappresentativa.
Il portale del lavoro ha coinvolto 1.000 lavoratori ungheresi tra i 18 e i 65 anni nella loro ricerca online, rivelando che il 9% di questi, sebbene possa flessibilmente scegliere tra l’ufficio e l’ufficio a casa, deve recarsi in ufficio nei giorni prestabiliti.
Secondo l’annuncio, solo il 4% di coloro che hanno partecipato all’indagine ha indicato che può lavorare completamente da casa e deve presentarsi al lavoro di persona solo se una specifica attività o evento lo richiede. Gli analisti hanno evidenziato che sei lavoratori su dieci in Ungheria non hanno la possibilità di lavorare in remoto, ma devono recarsi sul posto di lavoro ogni giorno.
Lili Simon-Göröcs, Direttice delle risorse umane di Profession.hu, ha sottolineato che:
la percentuale di aziende in Ungheria che offrono lavoro a distanza è attualmente bassa.
Anche se – ha precisato – nel 2020, nella loro ricerca condotta insieme a BCG, l’84 per cento dei datori di lavoro ungheresi e l’88 per cento dei dipendenti ritenevano che l’efficienza del lavoro non fosse diminuita, e che l’introduzione di una qualche forma di lavoro a distanza avesse addirittura migliorata dopo.
Inoltre, con l’aumento dei costi energetici, i benefici derivanti dallo Smart Working diventano sempre più evidenti: un dipendente che svolge la propria attività da remoto per due giorni a settimana risparmia in media circa 1.000 euro all’anno grazie alla riduzione delle spese di viaggio.
Smart working: Ungheria e Italia a confronto
Dal 2017, lo smart working è stato sempre più adottato dalle aziende italiane, soprattutto durante la pandemia di COVID-19. Ad oggi, secondo i trend che leggiamo nel comunicato di Osservatori.net, lo Smart Working è ormai presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese e progetti che quasi sempre agiscono su tutte le leve che caratterizzano questo modello.
Una tendenza opposta si riscontra nelle PMI, in cui lo Smart Working è passato dal 53% al 48% delle realtà, in media per circa 4,5 giorni al mese.
A frenare in queste realtà è la cultura organizzativa che privilegia il controllo della presenza e percepisce lo Smart Working come una soluzione di emergenza.
Rallenta anche la diffusione nella PA, che passa dal 67% al 57% degli Enti, con in media 8 giorni di lavoro da remoto al mese. In questo caso a pesare sono soprattutto le disposizioni del precedente Governo che hanno spinto a riportare in presenza la prestazione di lavoro, ma per il futuro si prevede un nuovo aumento.
Sempre secondo un’indagine dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2021 il 24,7% dei lavoratori italiani ha svolto almeno una parte del proprio lavoro da remoto. Questo numero è in crescita rispetto al 2020, quando il 16,1% dei lavoratori italiani ha lavorato in smart working.
Lo smart working è più diffuso nelle grandi aziende (38,9%) rispetto alle piccole e medie imprese (19,2%). I lavoratori più propensi a lavorare in smart working sono quelli della fascia d’età 25-34 anni (31,2%), laureati (32,6%) e con un lavoro d’ufficio (30,9%).
- Per informazioni sullo Smart Working per le aziende in Ungheria durante il periodo di pandemia clicca qui.
- Per scoprire le posizioni aperte di ITL Group che rendono possibile il lavoro da remoto clicca qui.
Fonte: BBJ | webradio.hu