L’artista dietro Arte di Pino. Una chiacchierata con Giuseppe Scelsa

L’intervista a Giuseppe Scelsa é stata affascinante sotto vari punti di vista. Quello creativo senza dubbio, sul piano della sostenibilità e l’arte del riutilizzo (il noto upcycling), e su quello umano, perché l’artista dietro Arte di Pino é una persona con un “sesto” senso: vede negli oggetti piú comuni, rotti e ammaccati quello che potrebbero essere, non quello che sembrano alla maggior parte delle persone che li lascia prendere polvere nelle cantine e nelle soffitte. Giuseppe Scelsa, italiano in Ungheria dal 1999, ha una passione per trasformare materiali ed oggetti in arte, che si avverte in ogni sua parola. Ne abbiamo parlato con Giuseppe, Zsuzsa sua moglie e “mente organizzativa” di Arte di Pino e con Alessandro Farina, direttore di ITL Group. Pubblichiamo di seguito la prima parte dell’incontro.

Com’è nato Arte di Pino?

“Grazie al fatto di dover pensare a quello che dovevo dire oggi, mi sono ricordato che per un periodo della mia infanzia vivevo all’estero in Africa (Zambia) ove dai ragazzi locali ho imparato a costruire macchinette in fil di ferro. In Iraq i vestiti usati si trasformavano in palle da calcio. Con le ruote usate delle macchine si gareggiava a far più metri in rotazione diritta. È sempre stato nella normalità riutilizzare materiali che altrimenti sarebbero stati gettati. È sempre stato un piacere, con il tempo divenuta una passione di non veder sprecate le cose. Guardare un oggetto o un materiale scartato che acquista di nuovo uno scopo, una funzionalità è oggetto di infinito orgoglio, divertimento e riflessioni.

In questo periodo si sente parlare di up-cycling  e dell’importanza del riutilizzo degli oggetti quando non servono più. Quando hai iniziato la tua esperienza, conoscevi il mondo dell’up-cycling? Come ti sei ritrovato in questo mondo? Riconosci Arte di Pino come up-cycling?

“Forse è stata una cosa parallela. Ma diventa sempre più importante il riutilizzo perché mi dà più soddisfazione. È piacevole vedere le espressioni nei volti di amici guardando oggetti da loro regalati, trasformati in cose simpatiche e utilizzabili (ad esempio: una chiave inglese trasformata in dinosauro; una vecchia radio diventata un cane-lampada da tavolino) e ne rimangono meravigliati. Tutto questo mi dà delle emozioni incredibili”.

Come sei riuscito ad avvicinare anche i piú giovani? Come hai fatto a battere i giochi al computer?  

“Dove abitiamo noi è un paese abbastanza piccolo e spesso i ragazzi d’inverno vanno quasi in depressione. Io cerco di coinvolgerli facendoli notare un metallo, una pietra, un materiale come potrebbe venire trasformato. All’inizio sono convinti di non saperlo fare, poi succede il contrario, prendo spunti dalle loro idee e metto anche a disposizione il mio workshop . È una passione per me.”

È possibile dare dei consigli alle famiglie o ad attività che si possono fare in questi giorni in cui stiamo molto spesso a casa, con i propri figli e figlie?

Guardarsi più intorno. Volgere lo sguardo alle cose che danno più ricordi, rinnovarle, riutilizzarle, farle rivivere. È semplicissimo. Una cosa che mi ha sempre emozionato è il racconto di mia zia:

Suo padre, negli anni ’50 fece un accordo con una circoscrizione di Roma. Lui, al posto del comune, facendosi le scale, ritirava tutti i rifiuti delle famiglie. Rifiuti che grazie al riutilizzo crearono un economia che permetteva agli operai di girare con la Fiat 1500 che allora era una macchina per classi dirigenziali. Pensate a quanto denaro suo padre faceva negli anni ’50 semplicemente ritirando rifiuti dalle famiglie. Dovrebbe essere automatico riutilizzare tutto perché è la forma più logica. È logico riutilizzare qualsiasi cosa. Il riutilizzo dovrebbe diventare un’abitudine.”

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