A Budapest, nella Casa di Vetro dove vissero migliaia di ebrei

In occasione della Giornata della Memoria Economia.hu ha visitato la “Glass House”.

 

L’ex fabbrica di vetro in cui nel 1944 abitarono circa 2000 ebrei e da cui ne furono salvate decine di migliaia (sembra circa 70mila) grazie al sistema elaborato da Carl Lutz, diplomatico svizzero che, come Giorgio Perlasca, è stato poi nominato “Giusto fra le nazioni” proprio per l’azione svolta a Budapest durante l’Olocausto. La Casa di Vetro, oggi vuota eccetto che per la stanza-museo della memoria, è nascosta nel cuore di Budapest, a pochi passi dalla Basilica di Santo Stefano. Nonostante l’aspetto moderno, può vantare di essere uno degli edifici più antichi del distretto, commissionata dalla famiglia Weiss e progettata da uno dei grandi architetti ungheresi, Lajos Kozma, sorge sulle fondamenta di una precedente struttura, opera di Pollack Mihály.

La struttura è peculiare e deve il suo nome non solo al fatto di essere stata una fabbrica del materiale, ma anche agli elementi in vetro che furono inseriti nel progetto per dare saggio della produzione, tra cui la scala, tuttora esistente. Gli interni, oggi, sono agibili ma non utilizzati e in condizioni abbastanza precarie. Da molti anni viene ripetuta la richiesta di un finanziamento per una ricostruzione dello stabile e una migliore organizzazione del museo e pare che il governo stia per stanziarli. Nel frattempo la mostra, che è mobile, ha viaggiato nel mondo, anche oltreoceano. La Casa è visitabile e gestita da Vámos György, giornalista e presidente della Fondazione Carl Lutz. Noto soprattutto per aver diretto i programmi di Kossuth Radio e per il suo lavoro di storico, attualmente dedica buona parte del suo tempo di pensionato al mantenimento di questo luogo, di cui può raccontare la storia nei minimi dettagli. Ai visitatori si consiglia di fare domande e lasciarsi guidare attraverso un racconto che le parole di Vámos restituiscono meglio dei pannelli espositivi.
La storia
Nel 1942 Carl Lutz fu inviato a Budapest come viceconsole dell’Ambasciata svizzera. Il suo primo compito fu di permettere l’emigrazione di circa 10mila bambini ebrei verso la Palestina, per sottrarli a un destino che era già prevedibile. La situazione peggiorò tragicamente nel marzo del 1944, con l’occupazione tedesca dell’Ungheria e la deportazione in massa degli ebrei magiari. Insieme all’Associazione Sionista ungherese, Lutz ideò uno stratagemma basato sull’emissione di “lettere di protezione” che garantivano la tutela diplomatica svizzera a chi le riceveva. Una particolarità di questi documenti era quella di essere “lettere collettive”, valide cioè per intere famiglie o addirittura per gruppi, che dovevano espatriare insieme, e non per singoli individui. In questo modo Lutz moltiplicò l’efficacia dei 7000 permessi che aveva richiesto di poter emettere. La storia è molto complessa e l’elaborazione del metodo richiese molto tempo, ma consentì di tenere al sicuro decine di migliaia di persone.  La “casa di vetro” divenne un edificio unico nel 1944, quando Lutz la trasformò nell’Ufficio Svizzero per l’Immigrazione e offrì alloggio a migliaia di ebrei (inizialmente vi abitavano circa 500 persone, in seguito molto di più, utilizzando anche le cantine dell’adiacente Associazione Calciatori, inutilizzata durante la guerra. Tali spazi non erano però protetti). Si trattava di un luogo molto più sicuro anche delle cosiddette “case protette”: godeva dello stato di extraterritorialità ed era tutelate da uno stato neutrale. Ciononostante due volte le croci frecciate tentarono di entrarvi e vi furono numerose vittime e ferite sotto le granate che vi lanciarono. La casa fu liberata il 17 marzo 1945

Indirizzo: Budapest, Vadász utca 29. Aperta ogni giorno dalle 13 alle 16.

Visioni consigliate: Il film documentario “La casa di vetro”, prodotto dalla Televisione della Svizzera Italiana nel 2004, regia di Enrico Pasotti, a cura di Aldo Sofia

Claudia Leporatti

Redazione Economia.hu

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