Cos’è l'”Orbanomics”: Fidesz sull’economia ungherese

In Ungheria è iniziato il conto alla rovescia per le elezioni politiche dell’8 aprile. Con l’avvicinarsi della chiamata alle urne dell’8 aprile Zoltán Kovács, il portavoce del primo ministro, ripercorre attraverso i dati macroeconomici i due mandati consecutivi di Orbán. La chiamano “Orbanomics”, la politica economica dell’attuale presidente del consiglio, candidato al terzo mandato consecutivo sotto lo slogan “Ungheria prima di tutto” . Il 2010: un anno che la storia ungherese non dimenticherà, a prescindere dagli schieramenti.

Da sapiente comunicatore Kovács non parla della Costituzione riscritta in poche settimane dall’allora neonato governo Fidesz, non si ferma a commentare leggi, successi e disfatte. Dopo una campagna fatta di colpi indirizzati al filantropo Soros, tattica che a dire il vero ha creato non poca confusione su quale fosse l’avversario di Orbán in queste elezioni, Fidesz lucida l’immagine di partito sanatore della nazione.
Otto passi indietro
In quell’aprile, quello del 2010, con una vittoria schiacciante e la maggioranza dei due terzi tornava al potere Viktor Orbán, già primo ministro nel 1998, segnando uno storico passaggio dal socialismo di sinistra del partito MSzP, al conservatorismo di centro-destra. “Otto anni fa – scrive Kovács sul suo blog –  quando gli ungheresi hanno consegnato a Viktor Orbán e alla coalizione Fidesz-KDNP una vittoria senza precedenti, hanno votato per il cambiamento”. Prima di allora, sostiene Kovács, “l’Ungheria era un Paese piegato dal debito, dall’alta disoccupazione da un PIL basso quando non addirittura negativo”. 
I numeri contano?
L’intervento del portavoce mette in luce il miglioramento economico, che diventa importante pedina elettorale. Negli ultimi 8 anni, scrive Kovács: la disoccupazione è scesa dal 12 al 3,8%, la crescita del PIL è arrivata a 11 punti in più nel 2017 rispetto al 2009, mentre il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo è calato al 73% da quasi l’81%. Kovács sottolinea inoltre come gli stipendi reali siano cresciuti, l’inflazione sia rimasta “modesta” e gli IDE (investimenti diretti esteri) abbiano battuto diversi record. “Questo non è un caso, ma il risultato di una politica economica disciplinata” enfatizza il portavoce. Il segreto di Orbán, secondo il portavoce dello stesso primo ministro, risiede nella stabilità del governo. Non poteva mancare il richiamo alla sicurezza. Scrive Kovács: “il primo ministro ha detto che la pressione dell’immigrazione illegale minaccia quella stabilità”. Le misure di difesa, ricapitola Kovács, sono costate circa 900 milioni di euro, “ma ne è valsa la pena perché altrimenti l’Ungheria potrebbe affondare di nuovo – parole di Orbán – in regressione, declino e stallo economico”. 
L’altra faccia della Fidesz
D’altro canto si potrebbe osservare che i dati sull’occupazione includono i lavoratori socialmente utili retribuiti meno di 200 euro al mese, che i giovani ungheresi sono sempre più “cervelli in fuga”, perché i salari, pur saliti, restano insufficienti a sostenere il nuovo costo dlela vita in Ungheria. L’Ocse stima che il reddito medio procapite è pari a 16.821 dollari (la media OCSE è di quasi il doppio, 30.563 USD) e che il divario tra fasce ricche e fasce più povere sia di quasi uno a cinque, cioè che i più i ricchi guadagnino il quintuplo dei più poveri. Sarà per questo che in giro si vedono tante auto di lusso, ma che quasi un terzo della popolazione (14,9% secondo la World Bank) vive al di sotto della soglia di povertà. Per non parlare del conflittuale rapporto con l’Unione e la Commissione Europea, fatto di procedure di infrazione, richiami e fratture mai sanate. Dalla legge sui media dell'”Orbán1″ alla modifica alla legge sull’istruzione che ha fatto tremare la CEU fondata a Budapest da Soros, passando per le proteste del popolo ungherese, ci sono stati anche dei passi indietro, per il leader arancione. Proprio delle dimostrazioni lo hanno costretto a fare retromarcia, ad esempio, sulle modifiche alla tassa su Internet, così come, in seguito, ad annullare la chiusura domenicale obbligatoria dei negozi, ad alcuni mesi dopo l’entrata in vigore.
Alcune scelte, tornando dal lato positivo del bilancio, hanno fatto la differenza. Di Orbán la “Flat Tax” sul reddito delle persone fisiche, lanciata con il 16% fisso e abbassata al 15% nel 2017. L’altra faccia c’è anche in questo caso, essendo questa una mossa che chi ha un reddito basso non può apprezzare. Poi ci sono state le tasse straordinarie sui grandi gruppi di energia, telecomunicazioni e gdo, insieme a quella sulle banche, che invece hanno dato filo da torcere alle grandi aziende. Sul piano politico ci sarebbe stato il colpo del referendum contro le quote sull’immigrazione, una cocente sconfitta su cui retorica governativa ha di fatto glissato o, per meglio dire, che è stata ribaltata e superata in un lampo. Tutto questo prima di arrivare al risultato di Hódmezővásárhely, ex caposaldo della Fidesz che si è affidato all’indipendente Péter Márki-Zay che ha battuto Zoltán Hegedűs, il candidato appoggiato da János Lázár (a sua volta il braccio destro di Orbán). Il neosindaco ha vinto grazie all’appoggio concertato di tutti i partiti di opposizione. Il fronte anti-Orbán sta tentando dunque di ampliare gli effetti di questi strategia, di replicarla in altri seggi anche usando una piattaforma web.
Le ultime settimane
Ad ogni tornata una tappa strategica della campagna elettorale è la festa nazionale del 15 marzo, i cui discorsi e manifestazioni si trasformano quasi in veri e propri comizi a cielo aperto. 
La comunicazione di Orbán punta alla semplicità e non dirotta dal populismo che ha caratterizzato i suoi ultimi due governi. Il suo credo lo ha ribadito pochi giorni fa nel suo discorso alla Camera di Commercio ungherese.
“Credo nelle cose semplici: lavoro, patria, famiglia”.
Di nuovo c’è poco, ma si sa, squadra che vince non si cambia. 

Claudia Leporatti

Redazione Economia.hu

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